Il Dilemma Ontologico della Bottiglia d’Artista: Tra Consumo e Contemplazione
- Deodato Salafia

- 4 giorni fa
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Ho di recente acquistato una bottiglia di rhum Dictador brandizzata da Richard Orlinski, un Dom Perignon del 2015 di Takashi Murakami e mi hanno regalato un Veuve Clicquot di Kusama, bottiglie bellissime: le devo bere o no?Ma partiamo dall’inizio. Se un tempo l’etichetta era solo un segno identificativo, oggi maison come Dom Pérignon, Veuve Clicquot, Absolut, Hennessy, Dictador o Rémy Martin la considerano uno spazio di espressione; a volte, addirittura, la parte più visibile dell’identità del prodotto. L’intervento di artisti come Murakami, Kusama, Obey, Warhol o Pantone non si limita alla decorazione: produce un valore aggiunto che fonde estetica, storytelling e scarsità programmata.
Questo processo ha reso la bottiglia un oggetto duplice: bene di consumo e opera collezionabile. Un ibrido che il mercato ha accolto con sorprendente naturalezza, ma come dovremmo stare di fronte a questo prodotto-opera? È nella natura ambivalente di questi oggetti che sorge la domanda centrale: una bottiglia d’artista va bevuta o conservata?
La risposta non è ovvia, perché ciò che stiamo maneggiando non è una banale scelta tra gusto e investimento, ma una tensione tra due idee di valore.
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