L’arte dell’umiltà nell’epoca del personal branding
- Deodato Salafia

- 21 set
- Tempo di lettura: 1 min
Aggiornamento: 22 set

In ogni gesto creativo si nasconde una scelta etica: imporre una visione o permettere che emerga qualcosa di autonomo, non come casuale ma come processo spontaneo di ascolto. Vale per chi manipola un algoritmo, per chi scolpisce marmo, per chi cura una mostra. Questa disponibilità al non-controllo è umiltà pratica, non atteggiamento contemplativo-passivo. Nel sistema dell’arte contemporaneo, dominato da mercato, spettacolo e personal branding, l’umiltà sembra un handicap. Ma forse è proprio qui che si misura l’autenticità di un gesto artistico.
L’artista come funzione, non come marca
La mitologia dell’artista-genio ha prodotto un secolo di narcisismi esibiti. Ma se osserviamo i lavori che resistono al tempo, spesso appartengono a chi ha saputo farsi da parte. Morandi non dipingeva bottiglie per esprimere se stesso, ma per esplorare relazioni formali irriducibili alla personalità. Rothko considerava i suoi quadri fallimenti se venivano letti come decorazioni invece che come esperienze.L’umiltà artistica non è modestia caratteriale, ma metodo di lavoro. Significa accettare che l’opera ecceda sempre le intenzioni dell’autore, che il significato si generi nell’incontro con lo sguardo altrui. L’artista diventa allora facilitatore di un processo che lo supera.
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