La morte dell’intelligenza
- Deodato Salafia

- 7 set 2024
- Tempo di lettura: 2 min

Da aprile 2024 fino a oggi, su questo magazine, abbiamo esplorato filosofia, storia e prospettive dell’intelligenza artificiale (AI), etica, e abbiamo toccato anche la spiritualità. È arrivato il momento di fare il punto e proporre qualche riflessione.
Benedetta natura, benedetto uomo
Abbiamo appurato che l’AI è solo un altro pezzo della natura, del creato (è proprio il senso di dirlo). L’AI è una parte del reame. Nel reame è l’uomo che è stato sempre il più intelligente, più degli animali, più di ogni cosa in natura. La natura è bella, ma l’uomo è l’essere intelligente. Non è facile definire cosa sia l’intelligenza, ma qualunque sia la definizione, traendone una scala, l’uomo è sempre stato in cima. Ciò che è avvenuto negli ultimi anni è che l’AI è cominciata ad apparirci come ad un passo dal mettere in dubbio questo primato. Come discusso in un articolo precedente, la teoria della computazione e la potenza elevata delle macchine potrebbero infine averla vinta su tanti ambiti che sono sempre stati riservati alla intelligenza umana. Si stima che i libri scritti dall’umanità siano 130 milioni, mentre tutta l’informazione prodotta fino ad oggi, compreso Internet, video eccetera sia 147 zettabyte, stimata in 181 nel 2025, mentre era solo 64,2 nel 2020. Uno zettabyte corrisponde a un trilione di gigabyte, ovvero una quantità esprimibile con un numero con 21 zeri di byte. Regole statistiche su grandissimi numeri (Big Data) porteranno i computer a predire con un errore estremamente piccolo il nostro comportamento. Molte persone dicono che l’uomo sa fare molte cose perché ha una cultura che si tramanda nelle generazioni, che forse arriva anche a plasmare la nostra fisiologia. Se questo è vero, proviamo a immaginare cosa possono fare zettabyte di esperienza.
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